La vera anima di Annalisa Insardà

Così a Via d’Amelio il 19 luglio della mia prima volta lì:

con nel cuore la fatica del ricordo, il dolore dei parenti sotto il palco a sentire chiamare i loro cari per nome e cognome e non più sotto l’impersonale e cumulativo termine di “scorta”;

con sulla bocca i nomi di Agostino, Emanuela, Eddie Walter, Claudio e Vincenzo che tentarono di proteggere Paolo, e di tutti gli uomini di tutte le scorte morti nell’esercizio delle loro funzioni;

con nella testa i pianti e gli applausi come tributo di gratitudine ad ogni nome pronunciato, e sono davvero tanti, troppi, come un rosario disperato di cui si conosce l’inizio ma non si può prevedere la fine;

con negli occhi le lacrime che mi strappano dalla concentrazione ogni volta che chiamo a parlare Emanuela Loi, unica donna di queste scorte che per qualche motivo, quando la cito, sento che viene ad abbracciarmi, ad avvolgermi le ossa, a premermi sui polmoni e farmi sentire nel cervello l’esplosione sotto la quale si è disintegrata insieme ai suoi colleghi. Il suo nome è uno scoglio insuperabile, non ho mai recitato questo monologo (“La scorta”) senza che a quel nome mi fermassi a piangere.
Non la conoscevo ovviamente, non conosco nessuno della sua famiglia, ma questa è la grandezza delle relazioni empatiche al di là e al di sopra di conoscenza e fisicità.

Via d’Amelio è una delle esperienze più stravolgenti e rivoluzionarie.
Il 17 arrivai a Palermo. Il 18 andai lì. Girai l’angolo e la vidi. Era vuota e silenziosa. Io mi sentii catapultata dentro la storia. Sola. Come se il mondo fosse scomparso ed io dovessi farmi carico di tutto quel trascorso straziante da sola, perché in questa immaginaria staffetta era arrivato il mio turno, il testimone era nelle mie mani ed io dovevo portarmelo addosso fino a chissà dove. Mi dannai che fosse così macabra la nostra storia, e che ci avesse messo in ginocchio.
Piansi a lungo senza sapere quali bottoni della mia coscienza quella strada avesse toccato, nel ’92 ero davvero troppo piccola per essere consapevole e capire.

Ma il giorno dopo, il 19, la via era piena di gente che veniva da ogni dove, e lì ho smesso di sentirmi sola e ho iniziato a sentire nelle dita gli strumenti che avrebbero reso quel giorno, tra qualche anno, storia a sua volta.
Ho capito l’importanza del mio impegno e dell’impegno di tutti. Stavo sistemando con le mie stesse mani, insieme a quelle di tutta quella gente, tutti gli orrori degli anni precedenti con la Cura e l’Amore.
Non dimenticherò mai quanto mi hanno insegnato il mio prezioso Amico Salvatore Borsellino e tutti i parenti delle vittime di mafia la cui dignità aveva già vinto la mafia.

Alla storia bisogna partecipare, non farsela passare accanto. Partecipare restituisce valore ad ogni azione, ci rende società, ci rende reciproci, ci rende Stato (cosa che le istituzioni non hanno mai saputo fare).

Annalisa Insardà 

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